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Artista e scrittrice, la sua singolare vicenda - mai in precedenza ricostruita - ne fa, insieme a figure come Leonora Carrington, Meret Oppenheim, Dorothea Tanning, Dora Maar o Remedios Varo, una delle protagoniste del panorama di un surrealismo “al femminile” oggi finalmente al centro dell’attenzione di critica e pubblico.
La sua opera scaturisce da una ricerca di sé che trova nei temi della metamorfosi, del totemismo animale e del fantastico i mezzi per esprimere un’identità divisa e frammentata.
“La mia ricerca è alchemica - affermava l’artista - voglio fare dell’oro a partire dagli escrementi. (...) Rifaccio il mondo: là sono altrove, vedo le cose da più lontano.”
Donna affascinante, molto ammirata e generatrice di travolgenti passioni, Bona rifiuta esplicitamente i ruoli di donna-musa e donna-bambina, prevalenti nell’ambito del Surrealismo. Si identifica invece, almeno a partire dagli anni settanta, con la lumaca, animale ermafrodita e figura ambivalente, al tempo stesso amichevole (si pensi alla fata turchina di Pinocchio) e ripugnante, incarnazione dell’informe surrealista. Per l’artista, la lumaca è simbolo dell’androgino, di fragilità e forza, e del continuo arrovellarsi della sua mente inquieta.
Il percorso della mostra
La mostra, basata su estese ricerche d’archivio, ricostruisce l’itinerario di Bona de Mandiargues attraverso 71 opere comprese tra il 1950 e il 1997, provenienti dalla collezione degli eredi dell’artista e da raccolte private e pubbliche fra cui la Fondazione Intesa San Paolo, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma e le Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara.
Il percorso, aperto da un gruppo di preziosi dipinti che segnano l’avvicinamento dell’artista all’immaginario surrealista, prosegue con i fantastici paesaggi infuocati del 1955-56, influenzati da un viaggio nell’Alto Egitto, e le opere astratte dalle paste spesse e materiche dalla seconda metà degli anni cinquanta fino ai primi sessanta, quando la suggestione della cultura messicana aggiunge nuovi elementi al suo immaginario.
Vague à l’âme è il quadro che inaugura nel 1958 la serie dei collage tessili, in cui la sperimentazione tecnica e la ricerca formale sono i veicoli di un’indagine introspettiva che porta alla luce traumi e pulsioni dal profondo. La Lezione sessuale (1962), l’imponente Trittico delle Nascite, (1965), dai toni primitivisti, e La Diana cacciatrice e cacciata (1968) sono tra i dipinti chiave di questa fase.
Un immaginario denso di riferimenti simbolici e una tavolozza dalle tinte psichedeliche caratterizzano un gruppo di tele dipinte intorno al 1968, legate al secondo viaggio in Messico.
Se il ricordo della pittura metafisica riemerge negli anni settanta, con omaggi a De Chirico, Savinio e Magritte (Il gallo Toledo, Celeste Empire, 1975), nel decennio successivo il clima italiano del “ritorno alla pittura” non rimane estraneo a tele come il ritratto dell’attrice erotica e gallerista Sylvia Bourdon (1980) e Il canto della creazione (1980).
La maturità dell’artista vede lo sviluppo dei filoni di ricerca già avviati, mentre si intensifica la presenza dell’immagine simbolo della lumaca, proiezione dell’artista, e quella del tema del ritratto (Omaggio a Unica Zürn, 1980) e dell’autoritratto.
Quest’ultimo, centrale nella ricerca dell’artista, conosce nella mostra diversi importanti esempi, dal piccolo e aggraziato autoritratto giovanile a quello flamboyant del 1968 al volto ieratico e stilizzato di Bona à Mexico (1991), fino a quello del 1994 che mostra il volto di Bona moltiplicato e scomposto in dettagli (naso, bocca, ecc.), specchio della continua tensione, nell’opera dell’artista, tra la frammentazione del soggetto e la sua affermazione, che trova un’eco nelle potenti autorappresentazioni simboliche de La Femme Montagne e Ma Main (1991).
L’artista
Nipote e allieva di Filippo de Pisis, Bona Tibertelli studia all’Accademia di Belle Arti di Venezia, prima di seguire lo zio a Parigi nel 1947. Qui conosce il critico e scrittore André Pieyre de Mandiargues, che la mette in contatto con gli intellettuali e artisti surrealisti, da André Breton a Max Ernst, da Dorothea Tanning a Meret Oppenheim, da Man Ray a Hans Bellmer, da Leonor Fini a Henri Michaux. Nel 1950 sposa de Mandiargues. Il rapporto con Mandiargues contribuirà ad orientare gli interessi artistici di Bona verso i temi del magico, dell’onirico, dell’eros e dell’occulto.
Dopo una fase formativa influenzata stilisticamente dall’esempio di de Pisis, Bona (nome con cui si firma) approda a una pittura figurativa nutrita di suggestioni fantastiche, che interpreta la natura sulla base della ricerca surrealista del meraviglioso e del perturbante.
Radici e mandragore dall’aspetto antropomorfo sono i simboli di una realtà in continua trasformazione che nella seconda metà degli anni cinquanta trapassa nell’evocazione di un universo magmatico e fermentante, reso attraverso tele materiche, con l’uso di impasti densi di terre e polveri, che guardano tanto alle coeve ricerche surrealiste quanto a quelle dell’informale europeo.
Nel 1958 Bona sviluppa la tecnica che più la caratterizzerà negli anni successivi, quella dell’assemblage di materiali tessili. Da vecchi indumenti del guardaroba del marito recupera fodere e imbottiture (l’anima, in francese). Brandelli di tessuto che daranno avvio a innumerevoli composizioni cucite e montate su tela, da lei chiamate “collages”, “assemblages”, o “ragarts”. Parallelamente l’artista continuerà a praticare la pittura, il disegno e l’incisione, con opere dense di simbologie personali, di fantasie erotiche, di allusioni magiche e alchemiche.
Nel 1958 soggiorna a lungo in Messico, aprendo una nuova fase artistica e personale. Gli anni sessanta sono per lei un periodo di inquietudine esistenziale, segnato dalla separazione dal marito, da numerosi viaggi - in particolare in India, Afghanistan, Ceylon e Nepal e nuovamente in Messico - e dalle relazioni con il poeta Octavio Paz e con il pittore Francisco Toledo. La sua opera si arricchisce di riferimenti alle culture con cui viene a contatto tanto nelle gamme cromatiche e nello stile, quanto nei soggetti e nelle simbologie.
Il 1967 segna la riconciliazione con de Mandiargues e la nascita della figlia Sibylle. A partire da questo momento Bona muove verso nuove direzioni di ricerca. Da un lato riprende la pittura, con una serie di quadri neo-metafisici che guardano alle origini del Surrealismo. Dall’altro sviluppa il lavoro sull’assemblage, ora incentrato sul suo animale totemico, la lumaca. Intensifica anche la sua produzione grafica, con disegni erotici ispirati dall’arte tantrica. Gli anni Novanta vedono in primo piano il tema del ritratto, sia con una serie di omaggi a protagonisti storici della cultura del Novecento, sia con un’esplorazione del sé attraverso l’autoritratto e il ritratto di famiglia.
Bona affianca all’attività pittorica quella di poetessa e narratrice: del 1967 è il racconto surrealista La Cafarde, del 1977 l’autobiografia Bonaventure, degli anni ottanta le raccolte di versi I lamenti di Serafino (1985), À moi-même (1988), e Vivre en herbe, ricordi della sua infanzia, pubblicati postumi da Gallimard nel 2001.
Si ringraziano Banca Intesa San Paolo, Milano, Galleria Nazionale di Arte Moderna, Ferrara, Galleria Nazionale di Arte Moderna, Roma, IMEC - Institut mémoires de l'édition contemporaine, Saint-Germain-la-Blanche-Herbe
Questa mostra non sarebbe stata possibile senza la preziosa collaborazione di Sibylle de Mandiargues.
Bona de Mandiargues
Rifare il mondo
Sede
Museo Nivola
Via Gonare 2 08026 Orani (NU)
Date
16 settembre 2023 - 5 febbraio 2024
Inaugurazione
16 settembre, ore 17.00
Informazioni
Museo Nivola
+ 39 0784 730063 | info@museonivola.it
Circa cinquanta opere provenienti dall'Archivio Concetto Pozzati – alcune inedite o non più esposte da tempo – tra dipinti di grande formato, lavori tridimensionali e su carta, come la monumentale installazione Dopo il tutto (1980) costituita da 301 disegni, compongono una rassegna organica e affascinante, che contribuisce a gettare una luce sulla produzione più significativa e meno nota dell’autore. Pozzati aveva lungamente sognato di realizzare proprio a Bologna una mostra di opere di grandi dimensioni. Genus Bononiae e l’Archivio Concetto Pozzati realizzano il desiderio dell’artista, rendendo omaggio, con questa mostra, alla sua vasta produzione pittorica, grafica, intellettuale e umana.
Concetto Pozzati XXL delinea un percorso non cronologico ma suddiviso per temi, suggerendo un dialogo intimo tra i quadri del pittore, gli affreschi e gli elementi architettonici e decorativi di Palazzo Fava. Le opere scelte per questa esposizione, allestite nelle 5 sale del Piano Nobile e nelle stanze del Piano Galleria, attraversano e ben illustrano le fasi principali della sua carriera, a partire dal clima informale della fine degli anni ’50, passando per le opere iconiche della metà degli anni ’60, riconducibili al periodo “Pop”, fino alla produzione degli anni ’70 – la meno conosciuta – che risentì del clima concettuale e sperimentatore del tempo, per giungere alla pittura densa e carnosa degli anni ’80, ’90 e 2000, che registra l’interesse dell’artista per gli oggetti del quotidiano e d’affezione, fino all’ultima folgorante serie, Vulvare, del 2016.
La rassegna restituirà per la prima volta un’immagine completa di Concetto Pozzati: non solo un artista visivo, ma un intellettuale a tutto tondo. Fu infatti teorico e critico, scrisse sull’arte e curò mostre di arte contemporanea in Italia e all’estero, diventando direttore artistico della Casa del Mantegna nel 1998; fu anche un collezionista appassionato, ammirando il lavoro di altri artisti e incoraggiando generazioni di giovani ed emergenti; si impegnò attivamente in politica, coprendo il ruolo di Assessore alla Cultura del Comune di Bologna dal 1993 al 1996; insegnò per molti anni Pittura presso l’Accademia di Bologna dopo le docenze a Firenze e Venezia e la direzione dell’Accademia di Urbino. Del suo lavoro hanno scritto i maggiori critici d’arte dal secondo Novecento fino a oggi, come Giulio Carlo Argan, Guido Ballo, Giuliano Briganti, Filiberto Menna, Lea Vergine, Alberto Boatto, Giorgio Cortenova, Enrico Crispolti, Tommaso Trini, Renato Barilli, Flavio Caroli… e tanti altri.
La mostra sarà accompagnata da un catalogo bilingue (italiano/inglese) edito da Maretti Editore con le immagini di tutte le opere esposte, fotografie d’archivio e documenti inediti. Il volume raccoglierà anche gli scritti dell’artista inerenti ai cicli pittorici esposti e un’antologia di testi critici selezionati dalla curatrice Maura Pozzati.
Concetto Pozzati (Vo’ Vecchio, Padova, 1935 - Bologna, 2017), figlio di Mario e nipote di Sepo (Severo Pozzati) ha studiato all’Istituto Statale d’Arte di Bologna e in seguito Architettura e Pubblicità. Dal 1956 al 1967 insegna Grafica pubblicitaria. Negli anni successivi, dopo l’insegnamento a Firenze e Venezia e la direzione dell’Accademia di Urbino, è ordinario della cattedra di Pittura presso l’Accademia di Bologna. Assessore alla Cultura del Comune di Bologna dal 1993 al 1996, nel 1998 è direttore artistico della Casa del Mantegna di Mantova. Affianca al suo percorso artistico numerosi incarichi per l’allestimento di rassegne d’arte contemporanea in musei italiani e stranieri.
Definito “il corsaro della pittura”, ha tracciato un ponte dialogante tra le diverse correnti culturali del dopoguerra, dal surrealismo all’informale, alla Pop Art. Nel corso di tutta la sua lunga produzione, le sue opere mantengono uno stretto rapporto con il segno, traccia distintiva del suo stile. Partecipa alle principali rassegne internazionali tra cui le Quadriennali di Roma (1959, 1965, 1973, 1974, 1986), le Biennali di Venezia (1964, 1972, 1982, 2007, 2009, 2013), di San Paolo del Brasile (1963), di Tokio (1963) e di Parigi (1969), Documenta di Kassel (1964). Presenta mostre personali e antologiche nei più importanti musei e gallerie in Italia e all’estero, tra cui: Palazzo della Pilotta, Parma (1968, 2002); Palazzo Grassi, Venezia (1974); Palazzo delle Esposizioni, Roma e Padiglione d’Arte Contemporanea, Ferrara (1976); Museo di San Paolo del Brasile (1987); International Centre of Graphic Arts e al Cankariev Dom, Lubiana (1993); Ventè Museum di Tokio (1993); “Icastica”, A.A.M. Architettura Arte Moderna, Roma (1998); “De-posizioni”, Museo Magazzino del Sale, Cervia (2006) e Museo Morandi, Bologna (2007); “Ciao Roberta”, Chiesa di S. Stae, Venezia (2008); “A casa mia”, Sala dei Battuti, Conegliano (2008); “Ciao Roberta”, Museo Civico Archeologico, Bologna (2008); “Tempo Sospeso”, MAR - Museo d’Arte della città di Ravenna (2010); “Cornice Cieca”, CAMeC - Centro Arte Moderna e Contemporanea, La Spezia (2012); “Mario & Concetto Pozzati” al Museo MUVO - Villa Contarini Venier di Vo’ Vecchio (PD) (2012); “Cornice Cieca”, Museo San Domenico di Imola (2013).
A conferma del suo percorso artistico riceve numerosi riconoscimenti ufficiali tra cui il Sigillo d’Ateneo dell’Università di Bologna (2005). È stato membro dell’Accademia Nazionale di San Luca dal 1995 e Consigliere Accademico dal 2005.
Archivio Concetto Pozzati
Nato a gennaio 2020 a Bologna, per volontà dei figli Maura e Jacopo Pozzati, l’Archivio Concetto Pozzati è un’associazione culturale senza scopo di lucro che raccoglie tutta la documentazione sull’attività di Concetto Pozzati per tutelarne l’opera, promuoverne la ricerca e la conoscenza, diffondere gli scritti e il pensiero critico e realizzare mostre collettive e personali in Italia e all’estero, sia presso istituzioni pubbliche sia private. Presso l’Archivio è in corso la digitalizzazione delle opere dell’artista, dell’archivio storico e il monitoraggio della presenza delle opere nelle collezioni nazionali e internazionali. L’Archivio vuole essere un punto di riferimento per esperti e studiosi, e promuovere e valorizzare non solo l’attività artistica ma anche il prezioso contributo culturale e intellettuale di Concetto Pozzati.
INFO
Titolo mostra: Concetto Pozzati. XXL
Artista: Concetto Pozzati
Curatrice: Maura Pozzati
Durata: 27 ottobre 2023-11 febbraio 2024
Spazio espositivo: Palazzo Fava. Palazzo delle Esposizioni, via Manzoni 2, Bologna
Orari: martedì-domenica, 10.00-19.00. Chiuso lunedì
Promotori: Archivio Concetto Pozzati e Genus Bononiae, insieme a Fondazione Carisbo
Con il patrocinio di: Comune di Bologna
Catalogo: Maretti Editore
Informazioni: www.genusbononiae.it | esposizioni@genusbononiae.it
L’artista napoletana, che vive e lavora a Barcellona, mette in scena la necessità del processo creativo, l’urgenza di un moto interiore la cui epifania, trascendendo dall’ambiente, sviluppa linguaggi interiori fatti di sovrapposizioni e svuotamenti materici. La carta di una collezione di riviste assume valenza pittorica diventando protagonista della tela, in un momento di attenzione cosciente verso la scoperta di ciò che si incontra più in profondità, sotto gli strati superficiali.
Durate il trasferimento dalla ceramica (materia privilegiata dall’artista) alla carta, quest’ultima viene trattata con la tecnica del collage e decollage, i cui diversi strati strappati, usurati e sovrapposti, utilizzati come tavolozza di colori, contribuiscono alla narrativa dei lavori, enfatizzando i luoghi di accumulo, di sovrapposizioni, interazioni e reazioni. È lì che si percepiscono e si svelano i segnali delle funzioni vitali di un processo di trasformazione in atto, lì, dove c’è una convivenza di contingenza e accidentalità, al limite tra il costruito e il distrutto.
La tecnica utilizzata partecipa alla richiesta di attenzione, nel gioco necessario di avvicinamento e allontanamento dalle tele. Le opere quindi assumono sembianze di volti, occhi, sguardi, in un primo momento attenti e sorpresi, protagonisti di fronte a questa indagine esplorativa, per mettere poi in evidenza che proprio quelle macchie, strappi e texture che li compongono, svelano gli infiniti strati ed inclinazioni e le possibili ed infinite direzioni di un cambio, attraverso i quali l’uomo e la natura perennemente si rinnovano.
In the mood for change rimarrà aperta fino al 8 settembre 2023 dal lunedì al venerdì dalle 15,00 alle 20,00 e su appuntamento.
Info
Shazar Gallery
Via Pasquale Scura 8
80134 Napoli Tel. 081 1812 6773 www.shazargallery.com